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(ostiarius) della casa (fig. 5, F), col cui atrio questa bottega è in
comunicazione. Sopra una parete della bottega stessa Marco Nonio
Campano, soldato dell’ ottava coorte pretoriana, scrisse il proprio nome,
facendoci anche sapere che egli serviva nella centuria di M. Cesio Blando,
il cui nome ricorre due volte sulle colonne del peristilio della casa.
Si è supposto che l’ uno e l’altro, trovandosi al seguito di qualche im-
peratore in Pompei, finirono per stabilirsi in questa città.
Riuscendo di nuovo sulla via Stabiana e volgendo a sinistra verso
settentrione, incontriamo a dritta un molino col forno (pistrinum,
fig. 6, A). Le mole erano costituite da due pietre di lava, l’ una in forma
conica (meta) e l’altra in forma di un doppio cono vuoto, cioè due coni
opposti al vertice (catillus) capaci di adattarsi sulla meta. In cima
a questa era infissa un’ asta di legno, che terminava in una punta di
ferro, intorno alla quale avveniva la rotazione del catillus nel modo
seguente: una spranga di ferro forata in corrispondenza della punta
anzidetta, su cui veniva adattata, era ripiegata sulla bocca del ca¬
tillus (come si rileva dagl’incastri nell’orlo) e scendeva su i fianchi
di esso attraversando i timoni che erano infissi nella parte più stretta
del catillus medesimo, e finalmente si fermava sull’orlo inferiore di
esso, rendendolo in tal modo sospeso. A far girare la mola erano adibiti
gli asini, e a tale uopo si soleva lastricare il suolo in giro alla mola.
Ma non sempre eran gli asini, che giravano la mola; talora anche gli
schiavi venivano addetti a questa fatica, e innanzi alle mole pompeiane
si affaccia spontaneo alla mente il ricordo di Plauto, che nella sua
fortunosa giovinezza fu costretto, per campare la vita, a girare la mola
di un pistrino. Il grano si versava nel cono vuoto superiore del ca-
tillus, e ridotto in farina cadeva fuori del cono vuoto inferiore sopra
una lamina di piombo che rivestiva la faccia superiore del sodo di
fabbrica, su cui poggiava la meta.
Molini in gran numero noi incontriamo in Pompei; il che si spiega
da un lato con la meschinità dell’apparecchio, inadeguato al bisogno
della popolazione, e dall’altro col carattere eminentemente commerciale
della nostra piccola città. L’industria del panettiere (pistor) doveva
esser lucrosa in Pompei, e infatto noi sappiamo di un panettiere, Paquio