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CAMMEI ED INTAGLI
me par più semplice, e perciò più vera , l’ opi¬
nione dello Stosch e del Gori (1) che vi videro
un guerriero greco, il quale portato da veloce
cavallo vibra un dardo contro ai nemici. Errò
poi certamente il Bracci quando giudicò lo scu¬
do rotondo, o parma, di soverchia grandezza.
Non gli tornarono in mente le autorità di Poli¬
dice il primo, xa)
bio e di Livio. H òe rápνν,
Sbvauw éyei rý naraonevý, nai péysdos åproöv
noos aoOanir eOepe ap doa ro cyiuri,
rpiwsdov éysi rýv diéusrpo, parma vero cum
vim habet ob structuram, tum idoneam se¬
curitati magnitudinem: cum enim rotunda
figura sit, diametrum habet tripedalem. Hic
miles, dice il secondo, tripedalem parmam
habet (2). E quand’anche fosse questo scudo
grande di troppo, dovrebbe scusarsene l’arti¬
sta, siccome a ciò costretto dall’ accidente del¬
la pietra. Cosi nel celebre cammeo di questa
Galleria rappresentante la favola di Ganime¬
de, e da me già esposto, è assai sproporzionata
l’aquila; e nondimeno mai non si è creduto,
circensi, che non si vergognarono gli stessi Impera¬
tori nel pubblico circo di far l’officio d’ Auriga. Es¬
so Bracci dice esser questo il quarto Aulo.
(1) Gem. tom. 2. tab. 2. n. 1. pag. 10.
(2) Veggansi queste due autorità presso il Sallengre
tom. 1. p. 818.