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non mi maraviglio, ma non posso trattener la sorpresa nel leggere
lo stesso error di giudizio in quell’ assennato uomo ch’era il Diedo.
Come mai non s’accorse che quelle bugne, le quali s’addossano sull’ar-
chivolto a mascherarlo per la più gran parte, pugnano colla ragione
la quale vorrebbe che la costruzione spiccasse limpida sempre? Come
mai potè dire che quelle due pesantissime mensole aggiungono no-
biltà ed eleganza al tutto? Ma sia pure anche questo. Con qual
animo potè poi lodare i due busti laterali posti a disagio su due
meschini piedistalli, e dir leggiadra a quella finestra superiore tanto
licenziosa, da quasi poterla sospettare un’ opera del Borromini?
Fra i suoi bei pregi v’ è pur quello d’aver il cornicione risaltato
solo sulle colonne e non continuato sull’ arco, ed il frontespizio
incartocciato e baroccamente spezzato nel mezzo per accogliere un
busto. Come si fa a dir male del Longhena, sempre nelle masse
almeno grandioso, quando si tributano encomii ad un’ opera arci¬
scorretta, senza che punto raggiunga la imponente grandiosità
dei seicentisti? Io venero la onorata memoria del Diedo, uomo che
avea forse troppo serve alla regola le idee e la imaginazione, ma
che possedeva cognizioni molteplici, e retti sentimenti dell’ arte.
lo ricordai più volte in questo libro il suo nome con quel doppio
rispetto che devesi a chi fu degno della stima di tutti gli onesti
ed a chi fu talvolta a me stesso consiglio efficace nei primi miei
studj d’architettura: ma non per questo posso tacere la dolorosa
impressione che mi fa un giúdizio contrario al vero ed agli stessi
troppo severi principii che egli professava. Si vede che il nome del
Sammicheli gli fe’ rinnegare persino le proprie convinzioni.
PORTA DEL BUCINTORO (all’Arsenale). Allora si che io sa¬
rei venuto d’accordo col Diedo, quando egli mi avesse esaltata la
porta del Deposito, detto del Bucintoro nell’ I. R. Arsenale, senza
contrasto cospicuo lavoro del nostró artefice, nella quale tutta spicca
la sua severa grandiosità. E una bellissima porta dorica irta di
quelle austere bozze che inimitabilmente sapea rizzare il veronese
insigne; ardita nei profili, parca nelle membrature, e da larghi e
spaziosi spartimenti fatta più grandiosamente robusta. Due ampie
finestre decorate a bozze rustiche anch’ esse, la fiancheggiano, e
due pilastri pure da bozze formati, la chiudono agli angoli estremi.
Una Venezia colle bilancie della Giustizia in mano riempie l’attico
ricorrente sul vano della portà. Lodevole nudità ingigantisce le parti
laterali di quell’attico, e porge alla massa un non so che di sem¬
plice e di austero che solo il Sammicheli sapeva mantener lontano
dal pesante e dal secco.