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do passo dell’allegorismo, toccò puranco la sorte di vedere e
di poter prosittare, eziandio siccome si disse nel Tomo 11,
dell’epoca seconda, in cui la pittura tolse ad effigiare la natu¬
ra in tutte le sue passioni, in tutti i suoi caratteri, e secondo le
leggi della prospettiva lineare ed aerea. A quest’ ultimo apice
la condusse Giorgione, e sebbene sostenessero valorosamente
quell’esempio i discepoli di lui, Pietro Luzzo da Feltre, Gio-
vanni da Udine, Sebastiano dal Piombo, fra Marco Pensaben,
e Fran cesco Torbido, non meno che i suoi imitatori Jacopo
Palma il seniore, Lorenzo Lotto, Rocco Marconi e Paris Bor¬
done, pure a maggior perfezione era l’arte guidata per opera
dell’immortale Tiziano. Uno dei casi non rari vide quell’età,
di due emuli cioè, che sortiti dalle medesime instituzioni, in¬
dovinati gli stessi bisogni del tempo, stimolati da impulsi uni¬
formi producevano i medesimi effetti e perciò, originali en¬
trambi, correvano un arringo stesso, senza che uno si facesse
imitatore dell’altro. Non fu scarsa fortuna, è vero, per Tiziano
la morte immatura del Giorgione; ma forse che l’anima calda,
bisognosa di espandersi di questo secondo non avrebbe mai
dato all’arte quegli esempii di che poteva arricchirla il cupo e
meditobondo carattere di Tiziano; cosicchè vissuti una egual
vita, non si sarebbero punto scambievolmente nocciuti nella
gloria, quasi due linee paralelle che comunque corrano vicine
non però mai si toccano. Come poter ora riferire tutti coloro
che si fecero a muovere sulle traccie di Tiziano? Nulla dicen¬
do di Orazio figliuolo di Francesco fratello, e di Marco nipote
e fedel compagno, insieme a Tizianello pronipote di Tiziano,
Andrea Schiavone, Santo Zago, Campagnola Domenico e
sovra tutto Bonifazio Veneziano assai si appressarono nel fare
grandioso di quel sommo, e tutta anzi l’età sua fu tenera di
quelle pratiche sebbene non salisse tutte a quella scienza.
Epoca terza che comprende il secolo XVII.
La natura adunque, per mezzo di Tiziano e della sua’ scuo¬
la fedelmente imitata, nobili sensi esprimeva, siccome ne
fan testimonio il s. Pietro Martire e l’Assunta. Ma c’era un al¬
tro vuoto a riempiere. La pittura era chiamata ad esprime¬
re una vaga scena a mostrare tutti gli ardimenti degli scorci,
tutte le concezioni della mente immaginosa, ed i lumi della
notte. Ecco Tintoretto, ecco Paolo Veronese, ecco Jacopo da
Ponte soprannominato il Bassano. Tre capi scuola son essi
i quali videro ancora un lato da poter aggiungere all'arte
già al sommo avanzata dal Vecellio. Tintoretto tenute fer¬