Full text: La esposizione italiana del 1861

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di cellulosa, che deve avere la forma filamentosa, 
affinchè le sue fibre, sufficientemente lunghe e 
morbide, si possano intrecciare fra loro, formando 
una specie di feltro che costituisce la carta. 
Da ciò si comprende che le parti dei tessuti 
vegetali, formate di cellule arrotondate o polie¬ 
dre, divenendo polverose quando si dividono, non 
potrebbero prestarsi ad un tale feltraggio; esse 
sono d’altronde eliminate dai lavamenti, e pas¬ 
sano a traverso degli stacci, i quali non riten¬ 
gono niente altro che i filamenti puri; da ciò le 
diminuzioni considerevoli che subiscono le polpe 
delle radici, le paglie del frumento, del riso, del 
maiż, ecc., che si cercò di convertire in pasta d' 
carta, e che tuttora si utilizzano per fabbricare 
carta ordinaria. 
Da alcuni anni si vanno facendo numerose espe¬ 
rienze per trovar sostanze le meglio proprie a 
concorrere nella fabbricazione della carta colle 
fibre tessili o stracci, il di cui prezzo aumenta 
giornalmente. 
Quest’ aumento di prezzo dei cenci è una con¬ 
seguenza naturale dell' immensa estensione che 
ha preso la fabbricazione della carta in oggi, che 
tutti vogliono saper leggere e scrivere, che Go¬ 
verni, amministrazioni, commercio, industria, ecc. 
tengono una contabilità assai più dettagliata e 
sviluppata, ed infine che la libertà ed il progresse 
sociale hanno generalizzato l’ impiego della carta. 
Recenti esperienze fatte coll’ alpa e colla sparta, 
graminacee che abbondano in Sardegna, nella 
Spagna, in Sicilia, in Africa, ecc., riescirono pie¬ 
namente ; ma la fabbricazione della carta fatta 
con queste piante, sebbene rimarchevole, non è 
ancora abbastanza estesa da entrare in seria con¬ 
correnza colla carta da stracci. 
Perciò alcuni industriali inglesi hanno voluto 
utilizzare il varech, sorta di pianta marina, della 
famiglia dei fucus, che cresce in abbondanza sulle 
spiagge e in vicinanza al mare, e che venne finora 
adoperato nell’ industria come rimpiazzante del 
erine di cavallo, che è ben lungi di pareggiarlo 
e nell’agricoltura per ingrasso. 
Il varech crescendo in abbondanza sulle roc¬ 
cie dell’ isola di Wight in Inghilterra, ed in molti 
altri luoghi di questo vasto regno, se ne può rac¬ 
cogliere con facilità in grande quantità, colla 
spesa sola di tagliarlo e trasportarlo. M. Hartnell 
abitante della suddetta isola , ebbe pel primo la 
felice idea d’impiegare il varech nella fabbrica¬ 
zione della carta, ed il successo premiò le sue 
fatiche. 
Noi abbiamo sott’ occhio, dice M. Builder, il 
primo campione ottenuto da M. Hartnell, che non 
è fabbricante ; e questa carta, sebbene rassomi¬ 
gli a quella di paglia, è però a questa assai supe¬ 
riore, e di gran lunga più adatta alla scrittura. 
In quanto al prezzo di costo finora non si co¬ 
nosce, ma non sarà certo che poca cosa, mentre 
la materia prima viene. a costare poco più del¬ 
l’importo della condotta. 
Se queste spese sono troppo forti per un in¬ 
grasso, non lo saranno certo per una materia 
prima industriale, e se questa fabbricazione si svi¬ 
luppa, noi vedremo presto la carta di varech e 
quelle di alpa e di sparta fare bravamente la 
concorrenza alla carta di stracci sui mercati, con 
correnza che farà diminuire il prezzo di questa, 
con grande vantaggio della stessa industria car¬ 
LUIGI MASSARA. 
tiera e dei consumatori. 
L’ESPOSIZIONE ITALIANA DEL 1861. 
CERAMICA 
(Cont. e fine v. n° 43). 
Fra i lavori del Franco vanno reputatissimi 
alcuni piatti da lui dipinti per ordine del Duca e 
da questo donati a un cotale Frate Andrea di Vol 
terra, che si crede fosse il maestro e il confessore 
di Guidobaldo. Sopra ciascun piatto sta scritto: 
G. V. V. D. Munus. F. Andreœ Volaterano 
e le prime quattro sigle (GUID. VBALD. VRBINI DUX 
sono sempre sormontate dalla corona ducale. Al¬ 
cuni di cotesti lavori furono già proprietà de 
Bianconi, altri del dotto Padre Savorgnani, bolo¬ 
gnesi ambedue e raccoglitori accurati ed intelli¬ 
gentissimi di cose antiche; ma dopo la morte dei 
due insigni archeologi, quelle celebrate opere del 
pittore Veneziano furono vendute, e portate alcune 
in Inghilterra altre in Francia. 
Parlato cosi delle fabbriche di Pesaro, di Gubbio 
e d’Urbino; detto alcun che degli artisti, che più 
si resero chiari nell’arte del dipingere le maioli¬ 
che; indicati i principali lavori di quelli artisti 
non resta a noi che a tenere parola brevissima¬ 
mente delle altre fabbriche minori, che furono in 
Italia nel secolo XVI, a discorrere delle varie forme 
de’vasi e de’piatti di maiolica che si fabbricarono 
in quel tempo e de’diversi usi a’quali si destina¬ 
vano. 
Le città che nel secolo XVI, ebbero officine re¬ 
putate per la fabbricazione delle maioliche furono, 
oltre quelle delle quali abbiamo tenuto parola, 
Rimini, Ravenna, Faenza, Forli, Pisa, Bologna, Spello 
Ferrara e finalmente Città di Castello ove si pre¬ 
paravano colori con un metodo particolare che 
venne detto alla castellana. 
Nulla dice il Passeri della fabbrica di Faenza; 
il Delange molto lungamente ragiona intorno ad 
un vaso di straordinaria bellezza sopra il quale 
trovasi scritto il nome di quella città. Quel vaso, 
che appartiene al signor Fould, oggi Ministro delle 
Finanze in Francia, è notevole, secondo il citato 
Delange, per la vivacità del colore turchino che 
compone il fondo e per l’esattezza colla quale 
riprodotto sulla maiolica il disegno di una delle 
più reputate incisioni di Alberto Durero. - Anche 
in una vendita fatta a Parigi nel 1853 e della 
quale già parlammo a proposito del Xanto, si notò 
un piatto della fabbrica di Faenza nel quale le 
figure effigiate erano di un metro di altezza. 
Quanto alla fabbrica di Rimini, nulla ne dice 
il Passeri, poco il Delange. Noi ricordiamo di aver 
veduto nel 1858 a Pisa un piatto sul quale oltre 
ad un marco inintelligibile erano queste parole 
Fato in Arimino 1537. V’era armonia e vivacità 
di colori, ma disegno non correttissimo. 
Il nome speciale che davasi a ogni varia forma 
di maioliche, indicava a che si destinassero in 
allora i piatti ed.i vasi sempre adornati di di¬ 
pinture corrispondenti all’ uso cui le maioliche 
doveano servire. Eranvi i bacinetti amatorii nei 
quali i giovani innamorati solevano far ritrarre 
l’immagine della donna amata, e il bacinetto in 
viatole era appresso di quella pegno e testimo¬ 
nianza di amore; eranvi i vasi gameli o nuziali 
adoperati ne’sontuosi banchetti che si facevano 
succedere alla cerimonia delle nozze; e in quelli 
i pittori dipingevano per lo più Amore ed Imene; 
eranvi i vasi da tavola per le puerpere i quali 
si dividevano in 7 od 8 pezzi ed ognuno di que¬ 
sti formava un piatto per la mensa della donna 
costretta a giacersi in letto; e in questi eranc 
rappresentati natali di Dei, di Eroi, ed altre cose 
siffatte; nelle fruttiere dipingevano frutta e fiori; 
nei bacini da acqua, Dei marini, Ninse, Delfini, 
Tritoni e cosi di seguito, varia era la dipintura 
secondo che variava la forma e l’uso delle maio¬ 
liche. 
E qui ne pare di necessità il riepilogare il già 
detto quasi a mo’ di conchiusione alla parte sto¬ 
rica di questo scritto, la quale avrebbe voluto 
essere più estesą e più esattamente compiuta: al 
che se non potemmo provvedere non fu certa¬ 
mente per inerzia o mala volontà nostra; ma si 
perchè poco trovandosi ne’ libri intorno all’ argo- 
mento in discorso, ne fu d’ uopo raccorre qua e 
là con non lieve fatica tutte le notizie delle quali 
osiamo sperare ci sapranno grado i leggitori cortesi 
che se la brevità del tempo assegnatoci non ci avesse 
incalzato forse questo scrittarello intorno alle maio¬ 
liche italiane sarebbe riuscito meno indegno di 
vedere la luce. 
Riassumendo adunque le cose discorse è a dire 
come l’arte de’vaselli già conosciuta in Italia fino 
da’ tempi di Giustiniano, cessasse d’essere eserci- 
tata quando gli stranieri invasori facevano strazio 
d’ogni cosa nostra ; come essa tornasse a nuova 
vita verso il milletrecento e andasse di mano in 
mano progredendo, finchè la scoperta fatta dal 
Della Robbia introdusse l’ uso della maiolica fine 
cioè de’ piatti e de’ vasi che furono detti istoriati 
come l’arte del dipingere sopra la maiolica venisse 
in onorè grandissimo nel 1500 e più specíalmente 
dal 1530 al 1560 per opera di Mastro Geronimo 
delle Graticce, dell’Andreoli, del Fontana, del Franco 
e di molti altri, e pei soccorsi co’ quali il Duca 
Guidobaldo II della Rovere volle incoraggiata 
quell’ arte nobilissima; come la maniera delle di¬ 
pinture anteriori al 1530 apparisca secca, e lan¬ 
guida e fiacca apparisca la maniera di quelle po¬ 
steriori al 1360; come in tutte le pitture sopra 
la maiolica di qualsivoglia tempo il disegno sia 
sempre franchissimo; che la franchezza era neces¬ 
saria sopra ogni altra cosa agli artisti i quali si 
occupavano in cosiffatti lavori,essendochè per la na¬ 
tura della vernice che imbeveva e disseccava subito 
il colore non fosse luogo a correzione. E finalmente 
è a dire come dopo il 1560 gli artisti vaghi 
di nuovità abbandonassero i cartoni di Raffaello 
fino a quel tempo, siccome è detto, presi a mo¬ 
dello per le dipinture sulla maiolica, preserendo 
a quelli le opere de’fiamminghi; per la qual cosa 
l’arte volse in decadenza fino al 1574. - Morto in 
quell’ anno il Duca Guidobaldo, Francesco Ma¬ 
ria II figlio e successore di lui, più che a pro¬ 
leggere gli artisti diessi a riparare ai dissest 
finanziari cagionati dalle spese disordinate del 
padre; onde l’arte della maiolica priva degli aiuti 
e della protezione che l’aveváno fatta salire a 
cosi alto grado visse languidissima vita pochi 
anni ancora, dopo i quali fu lasciata da banda. 
Perduti per cotal guisa i segreti delle varie ver- 
nici riuscl impossibile di ritornàrla più tardi al 
l’onore primitivo. 
Due secoli e meno passarono senza che all’arte 
di dipingere sulle maioliche all’ uso di Pesaro, 
di Gubbio e d’ Urbino alcuno volgesse il pensiero: 
ma’da parecchi anni a questa parte e chimici e 
pittori ricominciarono i loro studj intorno a cosiſ- 
fatta materia adoperandosi questi a raggiungere 
la vivacità del colorito e la franchezza del dise¬ 
gno de’ più reputati maestri, occupando quelli la 
mente nella ricerca della composizione delle va¬ 
rie vernici che sopra ogni altra cosa fecero ve¬ 
nire in grandissimo pregio le maioliche italiane. 
E giustizia vuole che qui si dica che gli studj 
indefessi degli uni e degli altri hanno già recato 
buon frutto; e ne fanno splendida testimonianza 
le imitazioni de’ piatti e de’ vasi di Gubbio offert 
in mostra da più fabbriche nella prima Esposi-
	        
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