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di cellulosa, che deve avere la forma filamentosa,
affinchè le sue fibre, sufficientemente lunghe e
morbide, si possano intrecciare fra loro, formando
una specie di feltro che costituisce la carta.
Da ciò si comprende che le parti dei tessuti
vegetali, formate di cellule arrotondate o polie¬
dre, divenendo polverose quando si dividono, non
potrebbero prestarsi ad un tale feltraggio; esse
sono d’altronde eliminate dai lavamenti, e pas¬
sano a traverso degli stacci, i quali non riten¬
gono niente altro che i filamenti puri; da ciò le
diminuzioni considerevoli che subiscono le polpe
delle radici, le paglie del frumento, del riso, del
maiż, ecc., che si cercò di convertire in pasta d'
carta, e che tuttora si utilizzano per fabbricare
carta ordinaria.
Da alcuni anni si vanno facendo numerose espe¬
rienze per trovar sostanze le meglio proprie a
concorrere nella fabbricazione della carta colle
fibre tessili o stracci, il di cui prezzo aumenta
giornalmente.
Quest’ aumento di prezzo dei cenci è una con¬
seguenza naturale dell' immensa estensione che
ha preso la fabbricazione della carta in oggi, che
tutti vogliono saper leggere e scrivere, che Go¬
verni, amministrazioni, commercio, industria, ecc.
tengono una contabilità assai più dettagliata e
sviluppata, ed infine che la libertà ed il progresse
sociale hanno generalizzato l’ impiego della carta.
Recenti esperienze fatte coll’ alpa e colla sparta,
graminacee che abbondano in Sardegna, nella
Spagna, in Sicilia, in Africa, ecc., riescirono pie¬
namente ; ma la fabbricazione della carta fatta
con queste piante, sebbene rimarchevole, non è
ancora abbastanza estesa da entrare in seria con¬
correnza colla carta da stracci.
Perciò alcuni industriali inglesi hanno voluto
utilizzare il varech, sorta di pianta marina, della
famiglia dei fucus, che cresce in abbondanza sulle
spiagge e in vicinanza al mare, e che venne finora
adoperato nell’ industria come rimpiazzante del
erine di cavallo, che è ben lungi di pareggiarlo
e nell’agricoltura per ingrasso.
Il varech crescendo in abbondanza sulle roc¬
cie dell’ isola di Wight in Inghilterra, ed in molti
altri luoghi di questo vasto regno, se ne può rac¬
cogliere con facilità in grande quantità, colla
spesa sola di tagliarlo e trasportarlo. M. Hartnell
abitante della suddetta isola , ebbe pel primo la
felice idea d’impiegare il varech nella fabbrica¬
zione della carta, ed il successo premiò le sue
fatiche.
Noi abbiamo sott’ occhio, dice M. Builder, il
primo campione ottenuto da M. Hartnell, che non
è fabbricante ; e questa carta, sebbene rassomi¬
gli a quella di paglia, è però a questa assai supe¬
riore, e di gran lunga più adatta alla scrittura.
In quanto al prezzo di costo finora non si co¬
nosce, ma non sarà certo che poca cosa, mentre
la materia prima viene. a costare poco più del¬
l’importo della condotta.
Se queste spese sono troppo forti per un in¬
grasso, non lo saranno certo per una materia
prima industriale, e se questa fabbricazione si svi¬
luppa, noi vedremo presto la carta di varech e
quelle di alpa e di sparta fare bravamente la
concorrenza alla carta di stracci sui mercati, con
correnza che farà diminuire il prezzo di questa,
con grande vantaggio della stessa industria car¬
LUIGI MASSARA.
tiera e dei consumatori.
L’ESPOSIZIONE ITALIANA DEL 1861.
CERAMICA
(Cont. e fine v. n° 43).
Fra i lavori del Franco vanno reputatissimi
alcuni piatti da lui dipinti per ordine del Duca e
da questo donati a un cotale Frate Andrea di Vol
terra, che si crede fosse il maestro e il confessore
di Guidobaldo. Sopra ciascun piatto sta scritto:
G. V. V. D. Munus. F. Andreœ Volaterano
e le prime quattro sigle (GUID. VBALD. VRBINI DUX
sono sempre sormontate dalla corona ducale. Al¬
cuni di cotesti lavori furono già proprietà de
Bianconi, altri del dotto Padre Savorgnani, bolo¬
gnesi ambedue e raccoglitori accurati ed intelli¬
gentissimi di cose antiche; ma dopo la morte dei
due insigni archeologi, quelle celebrate opere del
pittore Veneziano furono vendute, e portate alcune
in Inghilterra altre in Francia.
Parlato cosi delle fabbriche di Pesaro, di Gubbio
e d’Urbino; detto alcun che degli artisti, che più
si resero chiari nell’arte del dipingere le maioli¬
che; indicati i principali lavori di quelli artisti
non resta a noi che a tenere parola brevissima¬
mente delle altre fabbriche minori, che furono in
Italia nel secolo XVI, a discorrere delle varie forme
de’vasi e de’piatti di maiolica che si fabbricarono
in quel tempo e de’diversi usi a’quali si destina¬
vano.
Le città che nel secolo XVI, ebbero officine re¬
putate per la fabbricazione delle maioliche furono,
oltre quelle delle quali abbiamo tenuto parola,
Rimini, Ravenna, Faenza, Forli, Pisa, Bologna, Spello
Ferrara e finalmente Città di Castello ove si pre¬
paravano colori con un metodo particolare che
venne detto alla castellana.
Nulla dice il Passeri della fabbrica di Faenza;
il Delange molto lungamente ragiona intorno ad
un vaso di straordinaria bellezza sopra il quale
trovasi scritto il nome di quella città. Quel vaso,
che appartiene al signor Fould, oggi Ministro delle
Finanze in Francia, è notevole, secondo il citato
Delange, per la vivacità del colore turchino che
compone il fondo e per l’esattezza colla quale
riprodotto sulla maiolica il disegno di una delle
più reputate incisioni di Alberto Durero. - Anche
in una vendita fatta a Parigi nel 1853 e della
quale già parlammo a proposito del Xanto, si notò
un piatto della fabbrica di Faenza nel quale le
figure effigiate erano di un metro di altezza.
Quanto alla fabbrica di Rimini, nulla ne dice
il Passeri, poco il Delange. Noi ricordiamo di aver
veduto nel 1858 a Pisa un piatto sul quale oltre
ad un marco inintelligibile erano queste parole
Fato in Arimino 1537. V’era armonia e vivacità
di colori, ma disegno non correttissimo.
Il nome speciale che davasi a ogni varia forma
di maioliche, indicava a che si destinassero in
allora i piatti ed.i vasi sempre adornati di di¬
pinture corrispondenti all’ uso cui le maioliche
doveano servire. Eranvi i bacinetti amatorii nei
quali i giovani innamorati solevano far ritrarre
l’immagine della donna amata, e il bacinetto in
viatole era appresso di quella pegno e testimo¬
nianza di amore; eranvi i vasi gameli o nuziali
adoperati ne’sontuosi banchetti che si facevano
succedere alla cerimonia delle nozze; e in quelli
i pittori dipingevano per lo più Amore ed Imene;
eranvi i vasi da tavola per le puerpere i quali
si dividevano in 7 od 8 pezzi ed ognuno di que¬
sti formava un piatto per la mensa della donna
costretta a giacersi in letto; e in questi eranc
rappresentati natali di Dei, di Eroi, ed altre cose
siffatte; nelle fruttiere dipingevano frutta e fiori;
nei bacini da acqua, Dei marini, Ninse, Delfini,
Tritoni e cosi di seguito, varia era la dipintura
secondo che variava la forma e l’uso delle maio¬
liche.
E qui ne pare di necessità il riepilogare il già
detto quasi a mo’ di conchiusione alla parte sto¬
rica di questo scritto, la quale avrebbe voluto
essere più estesą e più esattamente compiuta: al
che se non potemmo provvedere non fu certa¬
mente per inerzia o mala volontà nostra; ma si
perchè poco trovandosi ne’ libri intorno all’ argo-
mento in discorso, ne fu d’ uopo raccorre qua e
là con non lieve fatica tutte le notizie delle quali
osiamo sperare ci sapranno grado i leggitori cortesi
che se la brevità del tempo assegnatoci non ci avesse
incalzato forse questo scrittarello intorno alle maio¬
liche italiane sarebbe riuscito meno indegno di
vedere la luce.
Riassumendo adunque le cose discorse è a dire
come l’arte de’vaselli già conosciuta in Italia fino
da’ tempi di Giustiniano, cessasse d’essere eserci-
tata quando gli stranieri invasori facevano strazio
d’ogni cosa nostra ; come essa tornasse a nuova
vita verso il milletrecento e andasse di mano in
mano progredendo, finchè la scoperta fatta dal
Della Robbia introdusse l’ uso della maiolica fine
cioè de’ piatti e de’ vasi che furono detti istoriati
come l’arte del dipingere sopra la maiolica venisse
in onorè grandissimo nel 1500 e più specíalmente
dal 1530 al 1560 per opera di Mastro Geronimo
delle Graticce, dell’Andreoli, del Fontana, del Franco
e di molti altri, e pei soccorsi co’ quali il Duca
Guidobaldo II della Rovere volle incoraggiata
quell’ arte nobilissima; come la maniera delle di¬
pinture anteriori al 1530 apparisca secca, e lan¬
guida e fiacca apparisca la maniera di quelle po¬
steriori al 1360; come in tutte le pitture sopra
la maiolica di qualsivoglia tempo il disegno sia
sempre franchissimo; che la franchezza era neces¬
saria sopra ogni altra cosa agli artisti i quali si
occupavano in cosiffatti lavori,essendochè per la na¬
tura della vernice che imbeveva e disseccava subito
il colore non fosse luogo a correzione. E finalmente
è a dire come dopo il 1560 gli artisti vaghi
di nuovità abbandonassero i cartoni di Raffaello
fino a quel tempo, siccome è detto, presi a mo¬
dello per le dipinture sulla maiolica, preserendo
a quelli le opere de’fiamminghi; per la qual cosa
l’arte volse in decadenza fino al 1574. - Morto in
quell’ anno il Duca Guidobaldo, Francesco Ma¬
ria II figlio e successore di lui, più che a pro¬
leggere gli artisti diessi a riparare ai dissest
finanziari cagionati dalle spese disordinate del
padre; onde l’arte della maiolica priva degli aiuti
e della protezione che l’aveváno fatta salire a
cosi alto grado visse languidissima vita pochi
anni ancora, dopo i quali fu lasciata da banda.
Perduti per cotal guisa i segreti delle varie ver-
nici riuscl impossibile di ritornàrla più tardi al
l’onore primitivo.
Due secoli e meno passarono senza che all’arte
di dipingere sulle maioliche all’ uso di Pesaro,
di Gubbio e d’ Urbino alcuno volgesse il pensiero:
ma’da parecchi anni a questa parte e chimici e
pittori ricominciarono i loro studj intorno a cosiſ-
fatta materia adoperandosi questi a raggiungere
la vivacità del colorito e la franchezza del dise¬
gno de’ più reputati maestri, occupando quelli la
mente nella ricerca della composizione delle va¬
rie vernici che sopra ogni altra cosa fecero ve¬
nire in grandissimo pregio le maioliche italiane.
E giustizia vuole che qui si dica che gli studj
indefessi degli uni e degli altri hanno già recato
buon frutto; e ne fanno splendida testimonianza
le imitazioni de’ piatti e de’ vasi di Gubbio offert
in mostra da più fabbriche nella prima Esposi-