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quella cioè a mezzodi del Caspio, e quelle del Gollo
Persico e del Mar Rosso mettevano ai porti del
Mar Nero e del Mediterraneo: prodotti ch’ essi cam¬
biavano con le manifatture dell’ industria italiana,
e particolarmente coi rinomatissimi panni lani
e drappi di seta; ma in grandissima quantità coi
panni lani, celebri per la loro finezza e pei colori
risplendenti e vivacissimi, come scarlatti, pavonaz¬
zi, azzurrini, bianchi, misti, verdi, cangianti ecc.
L’altro corso principale della marineria com¬
merciale degli Italiani era quella che chiamavasi
la navigazione di Ponente. I nostri legni toccavano
i porti di Francia e di Spagna, quelli di Algeria
Tunisi e Marocco; poi Lisbona e i porti di Francia
sull’ Oceano; di là navigando lungo la Manica
giungevano all’Eschiuse e allo Scalto, la moderna
Schelda, e quindi nei grandi emporii commerciali
di Bruggia e di Anversa, e finalmente facevano
capo in Inghilterra.
Due erano i porti più frequentati dalla no¬
stra marineria mercantile sul littorale inglese nel
medio evo, quello di Antona, l’Ampton e poi la
Southampton dei moderni per distinguerla dal¬
l'altra al settentrione, chiamata Northampton;
l’altro porto era quello di Londra. Ma i nostri
industriali approdavano ordinariamente ad Antona.
siccome porto più comodo non solo per lo scarico
delle merci e delle manifatture che importavano,
ma ben anche per l’esportazione dei prodotti in¬
glesi, e particolarmente di tutta la lana che estrae¬
vano dalla parte meridionale dell’ Isola e più spe¬
cialmente dal Guallese (paese di Galles).
Antona dunque, che i nostri paleografi confu¬
sero con Ancona ed anche con Altona in Dani¬
marca, era il porto delle merci; e di là i nostri
cavalcavano alla villa di Londra, come essi dice¬
vano, al cui porto facevano capo i prodotti inglesi
che venivano tratti dalle parti più interne e su¬
periori dell’ Isola. In Londra però erano trattati
tutti gli affari, tutti i cambi degli Italiani con
Bruggia, Anversa, Parigi; e nella stessa Londra ri¬
siedevano non solo i nostri banchieri, ma i diversi
Consolati delle nazioni, come allora chiamavansi,
cioè della nazione veneziana, fiorentina, genovese,
lucchese ecc., e cosi pure della fiamminga, olan¬
dese ecc. In Londra avevano stanza i governa¬
tori delle Compagnie commerciali italiane, le quali
tenevano inoltre i loro ministri, fattori, discepoli ec.
Il corso di Ponente della marineria italiana aveva
per oggetto principale il trasporto e lo spaccio in
Inghilterra di tutte le preziose derrate dell’Oriente,
non che delle manifatture italiane, e particolar¬
mente dei panni lani e drappi di seta, che i no¬
stri cambiavano coi prodotti del paese; e massi¬
mamente aveva per oggetto l’estrazione dalla stessa
Inghilterra dell’ immensa quantità di lana ch’ essa
produceva, come pure il piombo, lo stagno ed altri
prodotti; nel mentre che i nostri residenti a Lon¬
dra corrispondevano per gli affari e i cambi con gli
emporii di Bruggia e di Anversa, dove gli Italiani
possedevano grandi stabilimenti commerciali e ban¬
che, non che propri Consolati; ed era appunto in
questi grandi centri commerciali di Ponente, cio¬
Londra, Bruggia, Anversa che i nostri mettevansi
in comunicazione coi mercadanti della Ansa, la
quale era signora di tutto il commercio non sblo
degli scali del Mar Germanico, ma ben anche del
Baltico e del Mar Bianco. Dalla Inghilterra inoltre ed
anche dalla Fiandra i nostri industriali traevano
i panni greggi, che servivano ad un’altra industria
importantissima e ricca; quella cioè di Calimala:
la quale consisteva nel ritingere i panni inglesi e
fiamminghi, cardarli, cimarli, lustrarli, i quali poi
rivendevansi come panni finissimi nei mercati d’O¬
riente, ed anche in quelli dello stesso Ponente.
L’ESPOSIZIONE ITALIANA DEL 1861.
Esportavano inoltre gli Italiani dalla Fiandra i
panni lini rinomatissimi sino da quei tempi, e dei
quali facevano gran commercio in tutti i mercati
europei e del Levante. Ma come fu detto più so¬
pra, i nostri industriali trattavano e concludevano
tutti gli affari commerciali in Londra, a motivo
delle continue e importanti relazioni con Bruggia,
Anversa, Parigi e Lione per tutto ciò che riguar¬
dava le cose di banca e i cambi, i quali può dirsi
che avessero luogo giornalmente a motivo della
grande quantità di lana che estraevano dall’ In¬
ghilterra.
Era in quei tempi quasi tutto il suolo inglese
posseduto dai numerosi e ricchissimi Conventi,
Priorie e Abbazie di uomini e di donne, il resto
dalla aristocrazia e dalla casa reale, le cui te¬
nute, stando all’osservazione dei nostri, non
fornivano allora alcuna specie di lana, ma si le
terre di alcuni signori: però la massima parte
della lana era sommistrata ai nostri industriali
dalle Abbazie e dai Conventi, ondechè può dirsi
che quasi tutta la lana che produceva l’Inghilterra
veniva estratta dai nostri, e cosi i panni greggi;
la prima serviva all’ arte della Lana che sioriva
in molte città italiane, i secondi all’arte di Cali¬
mala, le due principali industrie, le più ricche e
le più potenti in Italia nel medio evo. A capo
delle grandi compagnie industriali dei nostri sta¬
vano, come si disse, i governatori; venivano poi
i ministri, i fattori, i discepoli, che tutti studiavano
la bottega, i corrieri, che regolarmente partivano
con la scarsella delle lettere per i principali mer-
cati ed emporii commerciali, e per le città italiane ;
avevano inoltre le nostre compagnie il loro cap¬
pellano, l’albergo proprio ecc. Il governatore e i mi¬
nistri risiedevano quasi sempre nelle città princi¬
pali, come Londra, Bruggia, Anversa, Lione, Pa¬
rigi; ma i fattori e i discepoli delle compagnie
industriali italiane in Inghilterra erano inviati
periodicamente in tutti i Conventi, in ciascuno
dei quali incettavano la lana che produceva,
per due, tre, quattro, sei e perfino dodici anni
consecutivi, stipulando con l’abate o priore il
relativo contratto, e lasciando in ciascun Con¬
vento una forte somma per arra. Quindi ogni
anno dagli stessi fattori e discepoli la lana di cia¬
scun Convento o Abbazia veniva trasportata per
la massima parte in Antona dove approdavano i
legni italiani, e in parte anche a Londra. Dai porti
dell’ Inghilterra era quindi trasportata a Bruggia.
Anversa, nei porti di Francia, e specialmente in
Livorno di Guascogna; e di là per terra a Mom¬
pellieri, Acquamorta, Marsiglia, Nizza; e da queste
ultime e sempre per terra, nelle città d’Italia,
ma particolarmente a Milano, Venezia, e sopratutto
a Firenze e in altri luoghi della Toscana.
Come fu già avvertito, in cambio della lana i
nostri portavano agli Inglesi non solo i prodotti
d’Oriente e molte manifatture italiane, ma partico¬
larmente i celebri panni lani fabbricati con le stesse
lane d’Inghilterra, con quelle di Spagna e di altri
paesi; e cosi pure i panni di Calimala, cioè i panni
greggi inglesi e fiamminghi, ritinti e ridotti a panni
finissimi; e più i drappi di seta, i broccati d’ oro e
d’argento, i damaschini, i rasi,i velluti. Ma siffatta in¬
dustria degli Italiani con quasi tutta la lana che pro¬
duceva l’Inghilterra e coi panni greggi, era cosi rile
vante e cosi estesa che trovavansi interessati i nostri
maggiori mercatanti e banchieri, a motivo dei con¬
tinui pagamenti e dei cambi che occorrevano tra
Londra, Bruggia, Anversa, Parigi, Lione e le città
d’Italia; e tra i soli toscani che partecipavano a
quelle due importanti industrie, noi possiamo an¬
noverare gli Spini, i Riccomanni, i Mozzi, i Falco-
nieri, i Bardi, i Peruzzi, gli Acciaiuoli, i Bonac-
corsi, i Frescobaldi, i Bonsignori, i Salimbeni, i
Guinigi, i Ricciardi, i Portinari, i Medici ec., ed
alcuni di questi erano anche banchieri dei re
d’Inghilterra, come i Ricciardi, i Guinigi, i Pe¬
ruzzi ecc.
La lana che i nostri incettavano in Inghilterra,
era di tre qualità, ch’ essi chiamavano la migliore,
la mojanna, da moyenne e perchè in quei tempi le
locuzioni francesi erano in Inghilterra più frèquenti,
e infine l’ultima qualità era quella che designavasi
con la denominazione di Locchi. Tutta la lana era
tratta, come si disse, dai Conventi, e basterà ac¬
cennare il numero delle Abbazie e Conventi che la
fornivano agli Italiani per argomentare della grande
quantità che i nostri esportavano. Difatti gli in¬
dustriali italiani compravano la lana da circa
quarantacinque Magioni, Abbazie o Conventi del¬
l’ordine dei Premonstratensi; da quindici Magioni
dell’ordine degli Scozzesi, ora poco esteso, ma
che pure possiede ancora al giorno d’oggi una ric¬
chissima Magione in Vienna d’Austria ; traevano
altresi tutta la lana ch’era fornita da venti e
più Abbazie o Conventi dell’ordine di Cestello;
da altri cinquanta e più Conventi detti dell’ Or¬
dine Nero, e in fine da circa venti Monasteri di
Donne, Nonneries de Dames, e che i nostri paleo-
grafi stamparono Nonnerie di Danie, quindi fan¬
tasticarono con la Dania, la Danimarca ec. ec. Sono
dunque da cento e cinquanta Conventi, e tutti
ricchissimi di possessi e di pasture, che vendevano
nella sola Inghilterra la lana ai manifattori italiani,
senza contare quella che questi traevano dalle
tenute dei signori; e qui giova ripetere che i pos¬
sedimenti della Casa Reale non somministravano
lana di alcuna sorta.
(continua).
SU TRE QUADRI DI PAESAGGIO
DIPINTI A OLIO
DAL SIGNOR EDOARDO PEROTTI DI TORINO.
La pittara di paesaggio ha un largo orizzonte
innanzi di sè ed una splendida via da percorre¬
re, inquantochè essendo il suo campo illimitato al
pari della natura di cui è un riflesso, può e deve
percorrere tutta la graduazione che dalla istessa
ne vien indicata, vale a dire dalla semplice imi¬
tazione materiale alle più alte regioni dell’idea. Ai
nostri tempi, e qui tra noi specialmente, coloro che
cercano di copiare, null’altro che copiare l’effetto
del vero, veggono di mal occhio introdursi nella
pittura di paesaggio eziandio quell’elemento d’ideale
fantastico che tanto eloquentemente parla alla più
nobile parte dell’uomo.
Ostinandosi a voler rimanere in uno stretto
cerchio di esempj e di confronti, facendosi tipo di al¬
cuni pochi autori, da questo soltanto ripetono le loro
leggi del bello e le norme del vero, confondendo
bene spesso siccome accade a chi si racchiude in
un angusto confine, il giusto coi pregiudizi, la ve¬
rità collo studio su gli altri.
La libertà del soggetto , la libertà dei mezzi,
onde renderne sempre più vari ed aggradevoli
gli effetti essendo regola principalissima nell’arte,
ne deriva per necessaria conseguenza come ogni
pastoia, ogni limitazione cui si vorrebbe assogget-
tarle, recando danno ad esse, sia invece da eli¬
minarsi e disapprovare. Il felice resultato di una
opera derivando dalle analitiche region della este-
tica applicata all’ottima riproduzione della natura
ne inferisce che a quello soltanto mirar deve l’ar¬
tista, a quello unicamente riportar si deve la cri¬
tica.