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Quanto poi al modificare la natura, se gli ideali¬
sti stimano chi la copia, tale quale essa è , impotente
ad emularla nella bellezza, a me pare che molto mag-
giore prova di impotenza debba dare chi voglia, modi-
ficandola, farla più bella. Dunque, aggiungono, am¬
mettete anco il brutto nell’arte ? Secondo : come leg-
ge di contrasto non è chi lo escluda: belli non sono
il Tersite d’ Omero, l’Jago dello Shakespeare, il Qua-
simodo dell’Hugo : ma messi al loro posto conferisconc
per l’antitesi alla bellezza del tutto. E quando sia parte
del carattere dovrà ciò che dicono, assolutamente, brut-
to escludersi? a me pare che no. Mi spiego con un
esempio.
Supponiamo che un pittore prenda a rappresentare
in una tela la Maremma o le Paludi pontine in tempo
d’estate : se porrà nel suo quadro figure umane dovrà
farle emaciate, cadenti, logore dalla febbre: se farà in-
vece i volti leggiadri, lisci, tutti latte e sangue ven-
derà il suo quadro agli inglesi più facilmente, ma non
avrà osservate le leggi del carattere e dell’espressione: e
lo spettatore scambierâ la popolazione fracida di que’luo-
ghi malsani, cogli abitatori robusti di qualche salubre
spiaggia marina. Guardate il Contadino sulla marra
del Millet, una delle più belle e lodate tele dell’ arte
francese contemporanea: basta che voi ne osserviate
la fotografia: il Millet ha rappresentato il suo villano
come doveva : che cos’è bello in quella figura? la re¬
golarità delle forme? no; la faccia è quella d’uomo
bruciato dal sole, inebetito dalla monotonia di un la¬
voro manuale continuo: l’atteggiamento? nemmeno ; il
villano si sforza volgarmente di drizzare la schiena cur-
vata, appoggiando sulla marra le mani incallite dal ferro