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SESTA
di Pierino preferisse ad ogni opera i giganti
mentre l'Italia avida di sottrarsi alle passate ti¬
midezze agognava ad esser libera, allentando
il freno a’ pensieri ed alla mano. Sconsigliata
imitazione, che tra’ nostri sviò dal retto la gio-
ventu di Luca Cambiaso e ne guastava l’inge¬
gno se i consigli de’ piú savi nol ritraevano a
migliori principii. Questo dee dirsi, perchè nel
palażzo Doria s’impari una volta a distinguer
l’allievo di Raffaello d’Urbino dal Buonaccorsi
ispirato al gagliardo di Michelangelo, e lasciato
a se stesso. Che se a taluno giungano inattese
ed ingrate le nostre osservazioni, sarà bello il
ripetere, che la critica non dee smarrirsi in¬
nanzi alle opere per quanto insigni, e che quei
caratteri che tornan perniciosi ad imitarsi sono
talvolta ne' grandi artefici l’espressione d’un ge¬
nio potente. Il forte impasto ha conservata fino
a noi la medaglia, e l’acqua che per cieca ne¬
gligenza de’ custodi vi filtrava dal tetto potè in
due punti macchiarla, e nulla più. Con lieve fa¬
tica riparò l'Angelini a que’ danni, rinnovando
però sui pochi avanzi dell’ antico i rabeschi ad
oro e a colori onde son zeppe le cornici di
stucco e le lunette. Vuolsi (o volle almeno il
Ratti) attribuire a Silvio Cosini il sontuoso ca¬
mino che vediamo in prospetto della sala, ric¬
chissimo d'intagli e sculture in marmo ; cosi un