QUINTA
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o necessità di sterile ingegno; poichè in mezzo
a quella esattezza di pensieri e di contorni ri¬
splende una esecuzione pronta, vivace e libe-
ra, e d’ un effetto che non ti lascia andar oltre.
Perciò con lunga osservazione suppliranno i
lettori al difetto delle mie parole, e per deli¬
ziarsi in queste medaglie poco vorranno curarsi
della sala del primo piano ove i Calvi si sfor-
zarono di figurare il prodigio di Giosuè che ar¬
resta il sole. E paghi una volta di questa ve¬
duta non fermeranno i passi nella superiore an-
tisala dipinta da que’ fratelli, ove però m’è duo¬
po il notare, che guasta fin dal seicento una
parte del lor lavoro, fu chiamato a rifarla Gio¬
van Battista Carlone, che vi lasciò la storia di
Ester al cospetto d’Assuero, e due putti che
fiancheggiano lo stemma di Gesù sulla porta di
ingresso. Ma nè queste, nè quattro busti in
marmo di Francesco Schiaffino locati quivi su
piedistalli son opere da trattenerci a lungo.
La sala, e in gran parte le attigue stanze, deb¬
bono la lor bellezza a’ Vivaldi Pasqua, signori
come dicemmo, del palazzo innanzi alla pro-
prietà de’ Pallavicini. Le decorazioni e le linee
della prima ideò Pietro Pellegrini, ed il Canzio
mise suggello alla parte ornamentale co’ begli
chiaroscuri che campeggian nello sfondo. Quel
che v’ ha di figure dipinte, cioè le baccanti sulle