XXXVII
studio, che sul principio gli veniva negato. Per omi¬
cidio commesso mentre attendeva a difendersi da un
ribaldo, gli convenne fuggire in Toscana, e quivi per
diyerse città fece tavole che riscossero applausi, e
levaron fama nella patria stessa dell' autore. Gli sor¬
se contro l’invidia d’alcuni artisti, i quali mal sof¬
frendo che da Genova gli si spedissero commissioni,
trasser fuori un vecchio capitolo che ostava a siffatto
commercio. Il Paggi più che a francar se medesimo
dalle contravvenzioni studiò a schiantar da radice l’ an¬
tico uso della matricola, e parte con iscritture ch' ei
mandava da Firenze dimostranti, la pittura doyer es¬
ser superiore à tali schiavitù; parte coll' aiuto del fra¬
tello Gerolamo che in Genova deludeva le arti avver¬
sarie e perorava innanzi a' Magistrati, ottenne l' abo¬
lizione. Due volte si rinnovò da' contrarii la guerra
ed altrettante ei la vinse colla costanza e coll' appog¬
gio di saldi argomenti. In Firenze migliorò il suo stile,
od almeno lo fece più gaio sull’ eśempio de' coloristi
che già fiorivano in quella grande città, e potè far
più accette e desiderate le sue pitture, ove la genti¬
lezza e la nobiltà si direbbero- un ritratto délla sua
nascita. Impetrò in capo a molti anni di tornare in
patria, e vi lavorò moltissimo senza lasciar però un
solo affresco ; e vi mori più che settuagenario nel
1627. Restaron parecchi allievi. Il Bracelli e i due
Montanari giovaron poco al suo onor di maestro
morto l’ uno in età fresca per soverchía applicazione
allo studio, gli altri rimasti oscuri per un folle orgo¬
glio che dallo studio li sconsigliava. Gió. Domenico
Cappellino e Castellino Castello erano capaci di sos¬