Full text: Tomo I (1)

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che non sia lecito in Roma al popolo romano il 
farle, dirollo, e non ne tacerò le cagioni, e i ri¬ 
spetti che inducono a dover fare cosi. Le leggi 
pubbliche non permettono che le grossezze de' mu¬ 
ri communi (1) siano più di un piede e mezzo 
e cosi pure gli altri muri si fanno della medesi¬ 
ma grossezza, acciocche non rimangano di sover¬ 
chio ristretti gli spazj. Ora i muri di mattoni, se 
non sieno di due, o tre teste, ma grossi solamen¬ 
te un piede e mezzo, (2) non possono reggere più 
che un sol palco. Quindi in quella magnificenza 
di città, e numero infinito di cittadini, bisognan¬ 
do fare delle abitazioni senza numero; e non po¬ 
tendo il suolo essere capace di fare abitazioni den¬ 
tro Roma a si gran moltitudine, la bisogna ha 
obbligato a ricorrere al rimedio dell' altezza delle 
case. Per lo che innalzandosi pile di pietra, o 
murature di cocci, o pareti di sassi, elevate in 
altezza, e concatenandosi da spessi palchi, si han¬ 
no i commodi grandissimi, e de' cenacoli, (3) e 
(1) Veggasi la nota (Pag. 12.) del capo I. del libro I. 
(2) Non poteva estere composto codesto muro, che di 
un didoro in lungo, ed uno in largo; il didoro è lungo pie- 
di uno, e largo mezzo piede. Vedi poi il Diz. Vitr. alla 
vace Diplintii. Egli è poi assai palese, che Vitruvio parla 
qui de mattoni crudi, e non de' mattoni cotti 
(3) L'uso di tenere i salotti da mangiare ne' piani più 
alti delle case lo trovo anche nella villa Laurentina di Pli- 
nio il giovane, (l. 2. ep. 17.) ove nella torre del suo giardi- 
ne vi aveva una loggia destinata a codesto effetto
	        
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