CAPO III.
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possono più ritenere l'altezza dell' intonacato; ma
smossi dalla contrazione anziché congiungersi si
distaccano. Onde l' intonacatura disgiunta dalla
struttura, per la sua sottigliezza non può stare da
se; ma si frange, e gli stessi muri cosi a caso
poggiando riescon mal fermi. Perciò gli Uticen¬
si per la struttura dei muri adoprano mattoni
secchi (1) fatti cinque anni prima, ed approvati
da un decreto del magistrato.
16. Di tre generi si fanno 1 mattoni: uno
detto con greco vocabolo lidios, cioè quello, di
cui i nostri fanno uso, lungo un piede e mezzo,
largo uno. Gli altri due, coi quali i Greci co¬
struiscono i loro edifizj, chiamansi pentadoron e
tetradoron. Doron in greco chiamasi il palmo,
perchè l'offerta dei doni in greco si dice do¬
ron (2); i quali doni sempre si portano in pal¬
(1) Lo Stratico dice ch'è inutile la dottrina spiegata dal
Galiani nella sua nota del cap. 8. alle voci diplinthii e tri¬
plinthii, cioè di due o tre mattoni, per determinare quando
Vitruvio intenda di parlare dei mattoni crudi, e quando dei
cotti; poichè l' Ortiz avverte che il nostro autore intende
sempre d' indicare i mattoni crudi quando non appone
alcun addiettivo alla voce mattoni, venendo i mattoni cotti
dai latini chiamati teste, o mattoni testacei, od anche tegole,
benchè quest' ultima voce indicasse piuttosto quei mattoni
di dimensioni maggiori che si usavano nei tetti e nei pavi¬
menti.
(2) I Latini chiamano palmo la superficie che presentano
le quattro dita unite della mano, la cui larghezza corrispon¬
da alla quarta parte di un piede. Ciò detto, Vitruvio rende
ragione del perchè i due generi di mattoni greci si chiami¬
no pentadoro e tetradoro. Il pentadoro è un mattone qua¬
drato di un piede e un quarto per lato, ed il tetradoro di
un piede soltanto. E però un errore madornale il supporre
che l'ogniverso di Vitruvio significhi un mattone cubo di